mercoledì 22 luglio 2009

19. Considerazioni conclusive

Ci rimangono poche amare considerazioni:
• Un paese dove chi paga integralmente le tasse è reputato un povero “fesso” non può avere dinanzi a sé un brillante futuro.
• Un paese dove il cittadino è un disvalore non può essere democratico e un paese che non è democratico è oligarchico, ossia governato nell’interesse di un ristretto gruppo di poteri forti e istituzioni.
• Nel nostro paese, l’evasione fiscale è preservata. Non mancano i mezzi per far pagare le tasse a tutti: manca la volontà politica.
• Accettando la loro condizione di nullità, i cittadini fanno il gioco dei politici e il loro interesse.
• Alla fine abbiamo quel che ci meritiamo: una società dove la legge non è uguale per tutti, la giustizia è lenta e bifronte (severa e inflessibile coi deboli, clemente e permissiva coi forti), la burocrazia è farraginosa e fuori dalla portata del cittadino medio, che deve farsi assistere da esperti, la tassazione è iniqua, i servizi non adeguati al costo, l’informazione insufficiente, la partecipazione politica dei cittadini molto scarsa, la criminalità e l’illegalità diffusa.
• Finché i politici saranno lasciati liberi di agire senza l’obbligo di uno scambio diretto coi cittadini, vale a dire senza il determinante controllo del popolo, purtroppo, sarà sempre così.

18. Sogno o realtà?

Una società senza evasione è dunque un sogno? Certo, ma un sogno realizzabile. La chiave di volta per la sua realizzabilità l’hanno in mano i politici. Sono loro l’ago della bilancia. Se i politici accettassero e promuovessero il necessario cambiamento culturale, sarebbero certamente seguiti dal popolo e, insieme, formerebbero un fronte compatto, contro il quale s’infrangerebbe la prevedibile reazione dei grandi evasori, per quanto rabbiosa essa dovesse essere.
Ma perché mai i politici dovrebbero andare contro i propri interessi? C’è solo una ragione plausibile: la consapevolezza di creare una società migliore, dove la vita sia più gradevole e meno stressante per tutti, la ricchezza più equamente distribuita fra i cittadini e la burocrazia ridotta ai minimi termini, come pure la spesa pubblica e il carico tributario, la criminalità e i tempi della giustizia.
Basterà questa ragione a indurre i nostri parlamentari a proporre e votare una legge che sancisca la fine della cartamoneta e apra l’era del denaro elettronico? Al momento la cosa mi sembra piuttosto improbabile. Il Sen. Saro non si è più fatto sentire, e ciò non mi inclina all’ottimismo. Ancora più desolante è il silenzio dei 48/51 parlamentari interpellati. Il loro rifiuto perfino di parlarne è un segnale negativo e preoccupante. Sì, c’è spazio per la speranza, ma è uno spazio assai ristretto, un lumicino fioco, fioco.
Forse la mia proposta è solo una voce vana, che grida nel deserto e non approda a nulla. Se nessuno è disposto a raccoglierla, essa rischia di diventare aria fritta oppure solo un’occasione sprecata. Ma prima di buttarla nella spazzatura, riflettiamoci un momento. L’umanità è afflitta da molti problemi (fame, malattie, povertà, guerre, inquinamento ambientale, criminalità) e molte sfide sono aperte (ricerca, salute, scuola, informazione, sviluppo sostenibile), la cui soluzione richiede disponibilità di denaro. Il recupero di denaro proveniente dalla lotta all’evasione potrebbe costituire sia una risposta decisiva ai nostri problemi e alle nostre sfide sia l’inizio di una nuova era, l’era di un mondo migliore.

17. Gli ostacoli

La mia proposta è semplice da enunciare e, forse, anche da attuare dal punto di vista tecnico, ma non da quello culturale, dove si ergono alcune rilevanti barriere, sia a livello sociale che politico ed economico.
Il primo ostacolo risiede nella diffidenza pregiudiziale che la gente solitamente oppone a tutto ciò che è nuovo, ma questo è il problema minore. Infatti, con la stessa facilità con la quale manifestano il loro atavico misoneismo, i cittadini si lasciano convincere se si offre loro uno strumento più pratico (la moneta elettronica), magari accompagnandolo a tangibili benefici economici. Per esempio: per un periodo, si potrebbe far circolare sia il denaro cartaceo che quello elettronico, stabilendo uno sconto di spesa per gli utilizzatori del secondo. Basterebbero pochi mesi per conquistare anche i consumatori più refrattari.
Il secondo ostacolo (forse il maggiore) è quello di convincere i parlamentari e i quadri del mondo imprenditoriale e finanziario, dove, verosimilmente, si trovano i maggiori evasori. E’ quasi impossibile, infatti, pretendere che i politici propongano e votino una legge tesa ad estirpare la collusione, la concussione, la corruzione e tante altre operazioni illecite, che rappresentano una realtà diffusa nel paese e forse costituiscono, in atto o in potenza, direttamente o indirettamente, un’importante fonte di reddito per molti di loro.
Il terzo ostacolo, che è prevedibilmente il più eclatante e aspro, consiste nella controffensiva che verrebbe quasi certamente lanciata da quanti traggono un sostanziale profitto dai traffici illegali. Tuttavia, per quanto dura e feroce dovesse essere la loro reazione, essi avrebbero ben poche probabilità di imporsi se si trovassero a misurarsi col fronte compatto dei politici e del popolo. In realtà, poiché, come abbiamo detto, i politici non mostrano interesse ad eliminare l’evasione, i criminali non hanno motivo di manifestare la loro rabbia.

16. La rivoluzione in sintesi

Gli effetti “rivoluzionari” legati all’uso esclusivo del denaro elettronico sono stati illustrati nella seconda replica all’On. Saro, ma qui conviene riprenderli sia per sottolinearne l’importanza (in questo caso, credo, repetita iuvant), sia per poterli definire un po’ meglio.
• Essendo molto difficile evadere il fisco, tutti pagherebbero le tasse e lo Stato avrebbe 200 miliardi di euro a disposizione, che sono più che sufficienti per eliminare la povertà, creare nuovi posti di lavoro, migliorare la qualità dei servizi e incentivare la ricerca.
• Si avrebbe l’impressione di vivere in una società diversa e più equa.
• Il carico fiscale sui contribuenti si ridurrebbe considerevolmente.
• Il Ministero dell’Economia e delle Finanze potrebbe snellirsi e ridurre i propri costi.
• Lo Stato potrebbe prelevare la sua parte ad ogni transazione e il cittadino non dovrebbe presentare la dichiarazione dei redditi.
• La pletora dei commercialisti dovrebbe convertirsi in lavori socialmente più utili.
• Non ci sarebbe bisogno di tenere nelle nostre case archivi cartacei: tutto resterebbe nella memoria del computer, nel pieno rispetto della nostra privacy, a meno che non vi sia una qualche ragione superiore a giustificazione di un’indagine conoscitiva.
• Non ci sarebbe bisogno della zecca dello Stato e nemmeno degli strumenti per verificare le banconote.
• I falsari dovrebbero cercare nuovi espedienti per arricchirsi.
• I mendicanti sparirebbero dalle nostre strade. Se essi sono realmente bisognosi, non è etico infierire ulteriormente su di loro umiliandoli e affidandoli all’umore del passante, ma lo Stato dovrebbe prendersi cura di loro e, anche attraverso l’erogazione di un “reddito minimo”, tutelare la loro dignità di persone.
• Non potremmo dare le nostre offerte nelle chiese. In alternativa, ciascuna parrocchia potrebbe chiedere ai propri fedeli una qualche forma di pagamento per i servizi che ricevono e chiuderla lì.
• Le mance sparirebbero. Non si pensi che io abbia pregiudizi nei confronti delle mance, ma ritengo che il lavoratore possa essere altrettanto contento se, rinunciando alle mance, percepisse uno stipendio adeguato.
• Il mondo dell’illegalità, i mafiosi, i camorristi, gli spacciatori di droga, le prostitute, dovrebbero riorganizzarsi o sparire.
• I ladri non entrerebbero nelle nostre case, né scipperebbero le borsette alle signore, perché soldi non ce ne sono, e nemmeno sarebbero attratti da altri oggetti di valore, perché difficilmente riuscirebbero a trovare un acquirente.
• Nessuno sequestrerebbe una persona a scopo di estorsione, perché, una volta incassato il denaro (elettronico) del riscatto, verrebbe scoperto in un battibaleno.
• Ci sarebbe un netto calo della criminalità.
• Grazie all’esistenza di una Finanza Digitale, i tempi della giustizia si ridurrebbero drasticamente, almeno per i reati a sfondo economico.
• Sarebbe più appagato il desiderio di giustizia della gente.
• Alla fine, dovrebbe diffondersi il compiacimento generale di vivere in un mondo veramente “umano”.
• In queste condizioni, la partecipazione politica dei cittadini sarebbe favorita e si potrebbe realizzare una Democrazia Diretta.
Tutto quanto sopra potrebbe costituire oggetto di ammirazione e di emulazione da parte di altri paesi, e non è escluso che ne possa venire contagiato il mondo intero.

15. Vantaggi e svantaggi del denaro elettronico

Il passaggio dalla cartamoneta al denaro elettronico dovrebbe semplicemente inserirsi nel quadro di una società che tiene il passo dei tempi e si digitalizza. La tecnologia cambia il mondo e il mondo si lascia cambiare dalla tecnologia. E’ normale che sia così. Ormai, al di fuori della sfera familiare e amicale, sono sempre meno coloro che continuano a scrivere con carta e penna. Il computer è uno strumento così docile, elastico e polivalente, è un aiuto così prezioso e in grado di semplificarci la vita, che lo troviamo dappertutto.
Se il computer si è affermato non lo si deve ad una legge dello Stato, ma al fatto che i lavoratori e la gente comune sono andati apprezzandone le funzioni, le potenzialità e l’utilità pratica nella vita di tutti i giorni, tanto da fargli spazio nei nostri uffici, nelle nostre aziende e, perfino, nelle nostre case. Già oggi, chi non ha dimestichezza con l’elaboratore elettronico è considerato quasi alla stessa stregua di un analfabeta e non è difficile prevedere che, nel volgere di pochi decenni, non ci sarà persona, nel nostro paese, disposta a rinunciare a questo strumento.
Allo stesso modo e per le stesse ragioni, stiamo assistendo, oggi, ad una straordinaria diffusione delle smart card e ad un uso sempre più esteso del denaro elettronico: la card è più pratica, più agile e più versatile, dunque, conviene.
Il più importante elemento distintivo del denaro elettronico è la “traccia” che rimane registrata nel computer. Per quanto strano possa sembrare, questo piccolo dettaglio è in grado di produrre un cambiamento sociale migliorativo e di grande portata. Il principale vantaggio consiste nel rendere praticamente impossibile l’evasione fiscale; ma ad una condizione: la cartamoneta deve cessare di circolare, deve sparire. Solo la totale digitalizzazione del denaro può sprigionare tutti i suoi benefici effetti sulle nostre abitudini e sul nostro sistema sociale. Per la persona onesta, non cambierebbe nulla. E’ l’evasore che dovrebbe necessariamente cambiare il suo stile di vita, e, in un paese dove l’evasione è generalizzata, gli effetti sarebbero rivoluzionari.
C’è, però, un problema. Esso consiste in una possibile difficoltà di adattamento da parte dei cittadini ad un cambiamento, che si prospetta brusco e radicale. L’uso esclusivo del denaro elettronico, infatti, è totalmente altra cosa rispetto alla contemporanea circolazione della cartamoneta e richiede un adeguamento culturale profondo. Le invenzioni del passato (i veicoli a motore, il cemento armato, il riscaldamento domestico, gli elettrodomestici, l’industria alimentare, l’aereo, il computer) hanno sì cambiato lo stile di vita delle persone, ma lo hanno fatto con gradualità, dando modo alla gente di abituarsi al cambiamento e, per di più, non è stato necessario rimuovere l’esistente. Analogamente, già oggi il denaro elettronico circola liberamente e, tuttavia, esso non genera alcun sostanziale cambiamento nelle nostre vite quotidiane. E’ l’uso esclusivo che scatena la rivoluzione.
Da ciò deriva la necessità di un’adeguata preparazione della gente. In particolare, occorre educare i cittadini a identificare il dovere fiscale col bene comune e, quindi, anche col proprio bene personale. Già nella scuola dell’obbligo dovrebbe essere spiegata ai bambini l’importanza della contribuzione fiscale e, allo stesso modo, tutte le istituzioni dello Stato dovrebbero fare la propria parte perché si diffonda nella popolazione la cultura della partecipazione contributiva. Il contribuente onesto dovrebbe essere onorato dalla società in tutti i modi possibili e ripagato con la qualità dei servizi. Ai politici si dovrebbe chiedere una condotta trasparente e un’oculata amministrazione del denaro pubblico. L’evasore, invece, dovrebbe essere biasimato e fatto oggetto di una più incisiva opera di educazione e recupero, magari sotto la minaccia di estrometterlo da quei servizi che egli non è disposto a sostenere.

14. Risposte e repliche

Ho ricevuto solo quattro risposte: una da parte della Segreteria de La Margherita e tre da parte dei 51 parlamentari interpellati.

Risposta 1
5.10.06
La ringrazio sinceramente per il messaggio e per il suggerimento che ci ha inviato, che passo ai competenti uffici del Partito. Le segnalo in particolare che al link http://www.governo.it/Governo/Ministeri/ministeri_gov.html sono presenti tutti i contatti - dal Sito alla e-mail ai numeri di telefono all'indirizzo per la posta ordinaria - dei Ministri e dei Ministeri del Governo, incluso ovviamente il Ministero dell'Economia e delle Finanze, e che lei potra' mettersi in contatto con i dirigenti dei nostri Dipartimenti "Sviluppo Economico" e "Finanza Pubblica" (pagine dedicate al link "Dipartimenti" nella home page del nostro Sito nazionale) rispettivamente Sen. Gianfranco Morgando e Sen. Natale D'Amico, utilizzando gli indirizzi che sono pubblicati nel Sito http://www.senato.it (vale a dire nel Sito ufficiale del Senato della Repubblica).
Cordialmente,
Ivano Gobbato
Responsabile del Punto di Contatto margheritaonline.it

La prima risposta porta la firma di Ivano Gobbato, responsabile del Punto di Contatto margheritaonline.it: “La ringrazio sinceramente per il messaggio e per il suggerimento che ci ha inviato, che passo ai competenti uffici del Partito”. Bene, questi competenti uffici del Partito finora non hanno risposto. Le ipotesi sono tre: o non sanno cosa dire, o l’argomento non è di loro interesse, oppure ci stanno ancora studiando sopra.

Risposta 2
6.10.06
L’idea non è male ma suona un po’ Grande Fratello.
Bisogna andarci piano.
Cordialmente
Antonio Di Pietro

La seconda risposta è quella dell’On. Antonio Di Pietro. Vi notiamo una questione di merito (“l’idea non è male”), insieme ad una sorta di vago timore di essere controllati e defraudati della privacy (“ma suona un po’ Grande Fratello”). Da qui l’invito alla prudenza: “Bisogna andarci piano”.
Non ho replicato all’Onorevole a causa del tono sentenzioso della sua lettera, ma posso subito tranquillizzarlo in questa sede. Il fatto che ci sia traccia delle nostre transazioni non significa che esse debbano essere note ad altri: lo potranno diventare solo nel caso di un’indagine giudiziaria nei nostri confronti. E’ un po’ come avviene per le conversazioni telefoniche: da qualche parte c’è la traccia, ma essa rimane segreta fino a quando non ci sia una ragione valida per svelarla. Qualcuno osserverà che c’è pur sempre il pericolo di essere intercettati e spiati. Se ciò dovesse accadere, non si dovrà fare altro che perseguire e punire severamente i colpevoli. In ogni caso, la persona onesta non avrebbe nulla da temere da una possibile intercettazione. Se le paure dell’On. Di Pietro sono infondate e non costituiscono un problema, almeno per la persona onesta, se ne deve dedurre che egli non fornisce argomenti contrari alla mia proposta.

Risposta 3
13.10.06
Egregio Sig. Muni,
La Sua proposta è interessante e in parte è contenuta nel collegato della Legge Finanziaria. Ma per battere il sommerso bisogna introdurre un nuovo patto fiscale, fondato sul contrasto di interessi. Speriamo bene.
Un cordiale saluto
Bruno Tabacci

La terza risposta (alla quale non ho replicato per le stesse ragioni di cui sopra) proviene dall’On. Bruno Tabacci. Dopo un’attestazione di apprezzamento (“La Sua proposta è interessante”), segue un’affermazione (“e in parte è contenuta nel collegato della Legge Finanziaria”), che, a tutta prima, sembra sminuirne il valore. Come dire: la proposta è valida, ma arriva tardi, perché qualcun altro ci ha già pensato. In realtà, se leggiamo con più attenzione, scorgiamo che l’On. Tabacci precisa, correttamente, che la proposta è contenuta solo “in parte” nella Finanziaria, ed è proprio qui il problema. Come avrò modo di osservare (cfr. cap. 14), infatti, la mia proposta non può funzionare se è applicata solo in parte.
Il giudizio positivo dell’On. Tabacci è anche oscurato, e questa volta in modo deliberatamente propositivo, da una controproposta (“Ma per battere il sommerso bisogna introdurre un nuovo patto fiscale, fondato sul contrasto di interessi”). Insomma, per l’Onorevole, è meglio puntare sul contrasto di interessi, ossia, se ho ben compreso, sulla facoltà di detrarre dalla dichiarazione dei redditi le spese effettuate e documentate. Ora, non ci vuol molto per capire che il contrasto di interessi, oltre a comportare un numero impressionante di documenti di spesa (che poi dovranno anche essere conservate per eventuali successivi controlli), e quindi una complicazione burocratica, non garantisce che le parti abbiano davvero interesse a pagare le tasse. Facciamo un esempio: se il medico, che ha un’aliquota irpef del 43%, mi offre una parcella scontata del 20%, io, che detraggo dalla mia Dichiarazione il 19%, troverei vantaggiosa l’offerta del professionista e avrei interesse ad accettarla. Alla fine, ci guadagniamo io e il medico: ci perde solo lo Stato. Nemmeno l’On. Tabacci, dunque, porta argomenti in grado di dimostrare l’infondatezza della mia proposta.

Risposta 4
18.10.06
Da parte del Sen. Saro
Egregio Signor Muni,
Sono molto interessato alla sua proposta di legge. Se desidera inviarmela, tramite questo indirizzo e-mail oppure via fax 0667605XXX, il recapito telefonico della mia segreteria di Roma è: Sig.ra Anna P. 349 0812XXX.
La ringrazio e le invio cordiali saluti.

Come si vede, a differenza dei suoi colleghi, il Senatore Saro non esprime giudizi di merito, ma si dichiara molto interessato e vuole conoscere meglio la proposta di legge.
Siccome io non sono un politico, gli chiedo un aiuto.

Replica 1
18.10.06
Preg.mo Sen. Saro
La mia è una semplice idea. Per farla diventare “proposta di legge”, avrei bisogno di aiuto. Forse Lei conosce qualcuno che può venirmi incontro, magari qualcuno che abita a Udine, dove risiedo. In alternativa, mi faccia tutte le domande che vuole sulla mia proposta e io sarò lieto di risponderLe. Mi presento: sono un medico di 57 anni, libero professionista e libero pensatore, sposato con due figli; non ho mai aderito ad alcun partito politico; non sono schierato con nessuno; ho tante idee, ma poca esperienza pratica. Sono raggiungibile a questo indirizzo e-mail oppure al tel. 0432531XXX.
Cordialmente
Pietro Muni

Trascorrono tre settimane, prima che il Sen. Saro si rifaccia vivo con questa nuova sorprendente e-mail:

Risposta 4 bis
8.11.06
Egr. Signor Muni
Sono interessato alla sua Proposta di legge. Le ho già inviato il messaggio il 20 ottobre, penso che non ha avuto modo di vedere la posta. Oltre all’indirizzo elettronico che le appare può utilizzare anche il fax. 06/67605XXX o telefonare alla mia assistente 349 0812XXX.
Cordiali saluti
Sen. Ferruccio Saro

Dal momento che non mi è mai capitato nella vita di formulare una proposta di legge, replico come posso.

Replica 2
Udine 9.11.06
La mia proposta è semplice da enunciare (SOSTITUIRE LA CARTAMONETA CON DENARO ELETTRONICO) e semplice da attuare dal punto di vista tecnico. Occorre superare tre principali ostacoli: il primo consiste nella diffidenza pregiudiziale della gente di fronte a tutto ciò che è nuovo (ma ho già una soluzione infallibile, che dovrebbe risolvere il problema in pochi mesi); il secondo ostacolo (forse il maggiore) è quello di convincere l’establishment politico-economica; il terzo ostacolo va individuato nella prevedibile controffensiva della criminalità organizzata. Si tratta di una vera e propria rivoluzione (sociale, economica e politica), ma, soprattutto, di un’autentica novità e, come tutte le novità, si presta a facili fraintendimenti (per questo avrei piacere di parlarne personalmente con qualcuno di Sua fiducia o con Lei direttamente).
Apparentemente, l’uso del denaro elettronico in sostituzione della cartamoneta non dovrebbe cambiare di molto la nostra vita e, invece, se ci si pensa bene, le nostre abitudini cambierebbero radicalmente, per forza di cose.
Il segreto sta nel fatto che il denaro elettronico lascia sempre una traccia. Da ciò derivano gioie e dolori.
Sarebbe molto difficile realizzare traffici illeciti (spaccio di droga, prostituzione, racket, truffe, traffico d’armi): tutto il mondo della criminalità (organizzata o meno) dovrebbe riorganizzarsi o sparire.
Sarebbe molto difficile evadere il fisco: lo Stato potrebbe prelevare la sua parte ad ogni transazione e non ci sarebbe bisogno di presentare la dichiarazione dei redditi.
Se tutti pagano le tasse, tutti pagano meno tasse.
Non ci sarebbe bisogno di tenere nelle nostre case archivi cartacei: tutto è nella memoria del computer, e lì resterebbe (per rispettare la nostra privacy), a meno che un giudice non abbia bisogno di indagare.
L’apparato finanziario potrebbe essere notevolmente snellito e il relativo personale riconvertito a lavori più utili.
Non ci sarebbe bisogno della zecca dello Stato e nemmeno degli strumenti per verificare le banconote: i falsari dovrebbero cercare nuovi espedienti per arricchirsi.
I mendicanti sparirebbero dalla nostre strade.
Non potremmo dare le nostre offerte nelle chiese.
Le mance sparirebbero.
Nessuno entrerebbe nelle nostre case o scipperebbe le borsette alle signore perché sanno che soldi non ce ne sono.
Nessuno sequestrerebbe una persona a scopo di estorsione, perché verrebbe scoperto in un battibaleno.
Il Governo non dovrebbe, ad ogni Finanziaria, inventarsi il modo di far cassa, né colpire questo o quello, o mettere una categoria contro un’altra: gli basterebbe aggiustare di qualche decimale l’aliquota fiscale, secondo la bisogna, senza sconvolgere la vita di alcuno e gravando equamente su tutti.
Sarebbe più appagato il desiderio di giustizia della gente, con un positivo effetto educativo: ci sarebbe più tranquillità, più armonia sociale, più motivazione alla cooperazione, meno sprechi, maggiore distribuzione della ricchezza e, forse, meno malattie da stress.
Alla fine, dovrebbe diffondersi il compiacimento generale di vivere in un mondo migliore, insieme al desiderio di riformare la politica (io penso ad una Democrazia Diretta).
Tutto quanto sopra dovrebbe costituire oggetto di ammirazione e di emulazione da parte di altri paesi, fino a coinvolgere il mondo intero.
P.S. Mi rendo conto che il mio progetto può apparire molto ambizioso, ma io ci credo e ci sto lavorando sopra da qualche anno, nella speranza che qualcuno lo raccolga e lo porti avanti quando io non ci sarò più.
Un cordiale saluto
Pietro Muni

Non ho più ricevuto messaggi da parte dell’On. Saro, né degli altri politici su menzionati.

13. La proposta

Mentre divampava il dibattito politico sulla Finanziaria 2007, ho scritto una lettera con l’intento di inviarla ad un Quotidiano. Poi mi sono venuti in mente i politici, il cui indirizzo di posta elettronica ho trovato nel sito www.parlamento.it e mi ha colpito l’invogliante invito “Scrivi al tuo deputato”. Se c’è questo invito, ho pensato, vuol dire che i parlamentari sono avvezzi a rispondere. Perché mai, infatti, un cittadino dovrebbe scrivere al suo deputato se poi questi non gli risponde? C’era un’altra ragione, che mi induceva a sperare in una risposta: la conoscenza che il parlamentare percepisce 4.190 euro al mese per curare i rapporti con gli elettori (cfr. Scheda, al cap. 3). Senza contare la semplice questione del formale civismo, del bon ton e della buona creanza, che dovrebbe distinguere i nostri rappresentanti. Si dirà: “ma il deputato non ha il tempo necessario per rispondere a tutti”. In questo caso, potrebbe dare l’incarico a qualcuno della sua segreteria di farlo per lui. Insomma, non ci sono scuse: un parlamentare deve rispondere all’elettore e, se non lo fa, non può essere giustificato.
Nonostante avessi buone ragioni per aspettarmi una risposta, tuttavia, in fondo, non mi fidavo e sentivo che non sarebbe stato semplice indurre un politico a perdere pochi minuti del suo tempo per stare dietro ad un cittadino noioso. Perciò, mentre inizialmente pensavo ad “un” politico (un Padoa Schioppa, un Bersani, un Prodi, un Berlusconi), o ad un ristretto numero di politici, successivamente decidevo di allargare il campione: così avrei avuto maggiori probabilità di ricevere qualche risposta e, nella migliore delle ipotesi, avrei potuto disporre di numerose opinioni qualificate da confrontare e su cui riflettere.
La lettera è stata inviata in due riprese, il 5 e il 10 ottobre, alla Segreteria de La Margherita (perché non trovavo l’indirizzo dell’On. Rutelli) e a 51 Parlamentari, scelti a caso fra i più noti al grande pubblico, indipendentemente dal partito d’appartenenza.
I parlamentari destinatari della mia e-mail:
1. Adornato Ferdinando
2. Alemanno Giovanni
3. Amato Giuliano
4. Baldassarri Mario
5. Berlusconi Silvio
6. Bersani Pier Luigi
7. Bertinotti Fausto
8. Bonino Emma
9. Bordon Willer
10. Boselli Enrico
11. Buttiglione Rocco
12. Calderoli Roberto
13. Capezzone Daniele
14. Casini Pier Ferdinando
15. Castelli Roberto
16. Cesa Lorenzo
17. Ciampi Carlo Azeglio
18. Cicchitto Fabrizio
19. Collino Giovanni
20. Cossutta Armando
21. D’Alema Massimo
22. D’Onofrio Francesco
23. Di Pietro Antonio
24. Diliberto Oliviero
25. Fassino Piero
26. Fini Gianfranco
27. Finocchiaro Anna
28. Fisichella Domenico
29. Gasparri Maurizio
30. Gentiloni Silveri Paolo
31. Giordano Francesco
32. Giovanardi Carlo
33. La Russa Ignazio
34. Letta Enrico
35. Mantovano Alfredo
36. Marini Franco
37. Maroni Roberto
38. Mastella Clemente
39. Matteoli Altero
40. Melandri Giovanna
41. Napolitano Giorgio
42. Pecoraro Scanio Alfonso
43. Prodi Romano
44. Rutelli Francesco
45. Saro Giuseppe
46. Schifani Renato
47. Tabacci Bruno
48. Tremonti Giulio
49. Violante Luciano
50. Visco Vincenzo
51. Volontè Luca

La lettera
Ill.mo Onorevole
Mi permetto di sottoporre alla Sua attenzione e al Suo giudizio questa mia proposta, che potrebbe essere, vantaggiosamente, spesa a livello politico.
Premessa:
Io credo che i lavoratori autonomi italiani (artigiani, commercianti e liberi professionisti) pagherebbero volentieri le tasse se fossero certi che tutti le pagano; non le pagano di buon grado (e quindi evadono) perché non vogliono passare per fessi.
Proposta:
Ma come si fa a far pagare le tasse a tutti? Ho una soluzione semplicissima: SOSTITUIRE LA CARTAMONETA CON DENARO ELETTRONICO.
Vantaggi:
Le conseguenze di questo semplice atto sarebbero tali da comportare un cambiamento radicale e rivoluzionario del nostro modo di vivere: le tasse potrebbero essere versate contestualmente ad ogni transazione e non sarebbe necessario presentare la dichiarazione dei redditi, né elaborare arzigogolati studi di settore o tenere in piedi mastodontici e costosi apparati di controllo.
Inoltre, le imposte si ridurrebbero considerevolmente e i governi non dovrebbero scervellarsi alla ricerca di nuovi sistemi di caccia all'evasore, che, proprio a causa della cartamoneta, non possono funzionare.
Per non parlare di tutte le attività losche (traffico di droga e di armi, prostituzione, criminalità organizzata, ecc.), che subirebbero un vero e proprio terremoto...
Pietro Muni

L’e-mail da me inviata è volutamente dotata di determinate caratteristiche, che riassumo qui di seguito.
• E’ breve (solo poche frasi), per non dare adito al politico di addurre il pretesto di non avere avuto il tempo di leggerla.
• Parte dalla premessa che i cittadini “pagherebbero volentieri le tasse se fossero certi che tutti le pagano” e “non le pagano di buon grado (e quindi evadono) perché non vogliono passare per fessi”. E’ una premessa che ricalca il sentire comune e che, difficilmente, può essere contestata.
• Poi, presupponendo la buona fede del governo nel suo proposito di voler lottare contro l’evasione fiscale, lancia una proposta di tipo tecnico: c’è un modo assai semplice di far pagare le tasse a tutti, quello di “SOSTITUIRE LA CARTAMONETA CON DENARO ELETTRONICO”. La proposta è secca e lapidaria, quasi uno slogan, per evitare che venga fraintesa. Il mio intento è provocatorio e tende a saggiare la reale volontà del parlamentare, una volta messo al corrente che c’è (o ci potrebbe essere) una possibilità di sconfiggere definitivamente l’evasione fiscale.
• Segue un breve cenno ai prevedibili vantaggi. Se messa in atto, la proposta semplificherebbe (e di molto) gli adempimenti burocratici dei contribuenti, rendendo superflua la dichiarazione dei redditi e possibile lo snellimento dell’apparato di controllo fiscale, con conseguente riduzione della spesa pubblica e del carico tributario, senza parlare “di tutte le attività losche (traffico di droga e di armi, prostituzione, criminalità organizzata, ecc.), che subirebbero un vero e proprio terremoto”.

Il perché mi sia venuta in mente questa proposta lo spiegherò più avanti.

12. E se tutti pagassero le tasse?

Col recupero dell’evasione, che abbiamo supposto essere di duecento miliardi di euro (14% del PIL), si potrebbero fare tante cose. Si potrebbero, per esempio, ribassare di un buon 50% le attuali aliquote irpef, e ciò costituirebbe già un doveroso atto di giustizia nei confronti dei contribuenti onesti. Oppure, poiché l’Italia ha tanti problemi (debito pubblico, disoccupazione, povertà, servizi insufficienti, scarsa competitività), si potrebbe decidere di lasciare inalterato il carico fiscale attuale per qualche anno, fino a quando non si scorgano i segni di un’inversione di tendenza.
Con metà di duecento miliardi di euro, si potrebbe eliminare la povertà, creare nuovi posti di lavoro, migliorare i servizi e l’informazione, promuovere la ricerca e l’innovazione. Con l’altra metà si potrebbe avviare un’operazione di azzeramento del debito pubblico. Dopo pochi anni, gli italiani scoprirebbero di vivere in un paese più ricco, più attento ai bisogni della gente e meno assetato di tasse.

11. Perché combattere l’evasione?

In una repubblica democratica, l’evasione innesca una serie di reazioni a catena che, alla fine, nuocciono alla collettività e costituiscono un pericolo per la democrazia stessa.
Evasione non significa solo appropriazione indebita di denaro e arricchimento truffaldino; significa anche disposizione d’animo allo sfruttamento, al raggiro e all’inganno. Chi evade carica sugli “altri” il costo dei servizi, di cui egli stesso beneficia. E’ un mantenuto. E’ un uomo scaltro e senza scrupoli, un approfittatore, un compendio di parassitismo, latrocinio, malvagità e protervia.
L’evasione si oppone all’equità sociale e al riconoscimento della pari dignità dei cittadini, all’interesse generale e al bene comune.
Dove c’è evasione ci sono anche traffici illeciti, corruzione, gruppi di potere, caste, massonerie, associazioni a delinquere, criminalità organizzate.
Dove c’è evasione conta la posizione di forza, il saper scegliere il carro vincente, l’accompagnarsi ad amicizie adeguate, il coltivare le conoscenze che servono, entrare nel “giro giusto”, quello che ti offre le migliori opportunità.
Dove c’è evasione il cittadino onesto si sente fuori posto, snobbato, emarginato, e si svuota di ogni motivazione alla partecipazione politica e alla solidarietà sociale.
In questo terreno la democrazia non alligna. La democrazia, infatti, ha bisogno del rispetto delle persone e delle regole, di trasparenza, di legalità, di equità e giustizia.
Per tutte queste ragioni, l’evasione va considerata il problema numero uno, il “male” per eccellenza. Una pandemia, una guerra mondiale, la più catastrofica calamità naturale o la più micidiale bomba atomica possono fare milioni di vittime e, tuttavia, producono meno danno di un’evasione fiscale metodica e generalizzata, che, come un cancro, è in grado di minare subdolamente la nazione intera, fino a distruggerla nei suoi princìpi morali fondamentali. L’evasione è, come il peccato originale, la fonte dell’ingiustizia, una ruggine che corrode, un malessere profondo che disintegra, un morbo che destruttura. Essa è la causa prima di tutti i mali.

10. La risposta dello Stato all’evasione fiscale

Cosa fa abitualmente lo Stato per combattere l’evasione? Potenzia l’apparato di controllo fiscale, ma, così facendo, aumenta la spesa pubblica e, quindi, le tasse, col risultato che chi ha sempre pagato paga di più, mentre l’evasione rimane. Aumentando i controlli o mettendo in atto misure anti-evasione, al massimo si può vincere qualche battaglia, non la guerra; possiamo incrementare le entrate tributarie, non eliminare l’evasione. E’ impossibile, infatti, debellare un fenomeno sociale che fa parte della nostra cultura, a meno che non si riesca a cambiare la cultura stessa, e, fino ad oggi, purtroppo, non si scorgono segnali che ci inducano a credere che vi sia questa volontà politica.
La lotta politica è rivolta all’evasore, non all’evasione. Il risultato finale è la creazione di due categorie di cittadini: quelli che strapagano le tasse e quelli che non le pagano affatto, i quali ultimi, per ironia della sorte, finché non vengono scoperti, beneficiano anche delle agevolazioni previste dalla legge per i meno abbienti, ossia vengono premiati. Ne emerge il quadro di un paese “ingiusto”, dove l’essere onesti è penalizzante.
Se un cittadino offre al politico un’arma che potrebbe metterlo in qualche modo in grado di vincere la guerra contro l’evasione e il politico non si degna nemmeno di dargli una risposta, dà adito al sospetto che egli, in fondo, non vuole risolvere il problema.

09. I soggetti dell’evasione fiscale

Gli italiani sono così assorbiti dai loro specifici interessi personali da trascurare il bene comune e, anziché pensare di estirpare la piaga dell’evasione fiscale, che ritengono invincibile, continuano a difendere i propri privilegi e a puntare il dito sugli “altri”, chiunque essi siano, che vengono indicati come i soli responsabili di tutto ciò che non va nel paese. Alla fine, quello che si apre dinanzi ai nostri occhi è uno squallido e desolante scenario, dove si muovono alcuni principali attori, che si accusano a vicenda, creando un clima sociale pesante e negativo per tutti.
Ad un estremo possiamo collocare tutti coloro che vivono di stipendio e pagano interamente le tasse, ancorché solo per necessità, ossia gli impiegati della P.A.. Benché siano concepiti dall’immaginario collettivo come i fedeli contribuenti per antonomasia, gli impiegati, com’è comprensibile, non gradiscono di interpretare il ruolo di “unici pagatori delle imposte” e, considerandosi “sfortunati”, guardano agli evasori con un misto di rabbia e invidia. A nessuno, infatti, piace di interpretare il ruolo di “unico fesso” del villaggio.
Sul fronte opposto si collocano tutti coloro che svolgono attività illecite e vivono esclusivamente di esse. Sto pensando alla prostituzione e alla criminalità organizzata, allo spaccio di stupefacenti e ai sequestri di persona, alle attività camorristico-mafiose, e a tutta la congerie di truffe perpetrate in ogni settore e ad ogni livello. E’ il mondo dei “furbi” per eccellenza, degli uomini forti e duri, dei potenti, degli “eroi”. Ma ad una condizione: devono riuscire a farla franca. Se si fanno incastrare vengono declassati a “perdenti” e, di solito, i perdenti passano la vita tra il carcere e la criminalità spicciola, impegnati in espedienti di vario genere e lontani dal potere economico e politico.
Fra questi due estremi si trovano tutti gli altri cittadini, che possiamo suddividere in tre principali gruppi (i politici, gli erogatori privati di servizi e i consumatori), ciascuno dei quali è portatore di specifici interessi.
Gli interessi dei politici consistono, in prima istanza, nel conservare la propria posizione di privilegio, la quale, indirettamente, offre ottime occasioni di guadagno per sé e per il proprio entourage (cfr. capp. 3-4). La collusione col mondo dell’imprenditoria, della finanza e della criminalità organizzata, di cui si parla, di tanto in tanto, in occasione di scandali che esplodono giungendo alla pubblica conoscenza, a rigor di logica, deve costituire un mezzo ordinario di profitto, se è vero, come abbiamo convenuto, che il politico non è un fesso. Solo un “fesso”, infatti, può tollerare che altri si arricchiscano a spese dello Stato, e lui no. In altri termini, dal momento che il politico ha le mani in pasta, risulta difficile credere che non si sporchi le mani.
Il secondo gruppo comprende tutti gli erogatori privati di servizi e di beni di consumo, i quali massimizzano il proprio profitto ricorrendo ad ogni mezzo possibile, anche illecito, come la formazione di cartelli o la pressione sui politici al fine di ottenere un fisco leggero o la possibilità di evaderlo (leggi: condoni e concordati fiscali). Se anche loro evadono, è giocoforza che il carico fiscale deve gravare maggiormente sul terzo gruppo, quello dei consumatori, con la conseguenza di ridurre il loro potere d’acquisto. Se questa riduzione supera un certo limite, e si intravede il rischio di un calo dei consumi, anziché ridurre i costi dei servizi e dei beni, ecco che si trova una soluzione geniale: l’acquisto rateale, ossia l’indebitamento.
Da parte loro, i consumatori vorrebbero il contenimento dei costi, di tutti i costi, e la riduzione delle tasse, di tutte le tasse, ma, non disponendo né di un potere politico, né di conoscenze, né di una rete di consulenti paragonabili a quelle dell’establishment politico-economico, devono arrabattarsi come possono (secondo lavoro, espedienti), allo scopo di conciliare l’esigenza di condurre un’esistenza decorosa con quella di far quadrare il bilancio familiare. Quindi, anch’essi evadono dove possono.
Nello scontro fra interessi contrapposti, di solito, come si sa, vincono i più forti e, finora, tali si sono rivelate la classe politica e le lobby imprenditoriali e finanziarie: la prima ha potuto avvantaggiarsi dalla possibilità di svolgere un’attività legislativa di parte, le seconde dalla possibilità di condizionare le scelte dei politici. I consumatori, invece, vale a dire il popolo, rappresentano il “vaso di coccio” e sono destinati a soccombere: i sette milioni di famiglie che vivono ai limiti della povertà costituiscono una chiara testimonianza della condizione di debolezza cronica in cui versa il cittadino comune.

08. Il fenomeno dell’evasione

Oggi, il fenomeno dell’evasione fiscale è così pervasivo ed evidente che nessuno oserebbe negarlo. Se qualche dubbio c’è, esso riguarda solo l’ammontare della cifra evasa, che, comunque, è da capogiro: si parla di 200.000 milioni di euro! Come avviene per tutti i fenomeni generali, l’evasione non riguarda solo “gli altri” ma, potenzialmente, ciascuno di noi; fa parte della nostra cultura, del nostro costume.
Chi evade le imposte non è tormentato da sensi di colpa, anzi va a testa alta, un po’ come avviene per un soldato quando uccide in battaglia. Per l’italiano, infatti, lo Stato è esoso e vessatore, è un vampiro che succhia il sangue dei cittadini, un nemico da cui guardarsi, e l’evasore impunito è uno che sfida con successo il nemico-Stato e merita lo stesso rispetto che riserviamo agli eroi. Così come plaudiamo al soldato, le cui mani lorde di sangue hanno contribuito a riscattare l’onore della patria, allo stesso modo ammiriamo l’evasore franco, che, col suo coraggio, riscatta le nostre debolezze.
Nei confronti degli evasori, ciclicamente, i politici annunciano una sorta di guerra santa, che ha l’effetto immediato di indurre molti cittadini a mettersi in regola col fisco, ma solo finché dura la paura, poi tutto ritorna come prima. Ormai, il fenomeno dell’evasione è così incancrenito da indurre la gente a credere che sia un male inevitabile o, ancora peggio, un fatto “fisiologico”.
Io non la penso così. Penso che l’evasione si possa sconfiggere, a condizione che ci sia la sincera volontà di farlo. Non si sconfigge perché i politici non vogliono. Questa tesi trova conferma nell’esperienza, che qui racconto.

07. Pagare o evadere?

A cosa servono le tasse? Servono a pagare servizi pubblici fondamentali, come la difesa, la salute, l’istruzione, la giustizia, la viabilità, l’illuminazione, l’energia, l’organizzazione sociale, e via dicendo. Senza tasse non ci sono servizi e senza servizi non c’è Stato. E allora, a chi ci chiede “Ma perché mai dovremmo impegnarci in una lotta senza quartiere all’evasione fiscale?”, dovremmo rispondere: “Semplice, perché gli evasori danneggiano i cittadini onesti e vanno contro l’interesse generale. Le tasse sono destinate a diventare servizi pubblici e il cittadino che si rifiuta di pagarle è contro il popolo”.
A rigor di logica, più aumenta il numero e la qualità dei servizi e più aumentano i costi. La regola dovrebbe essere: più pago e più ricevo. Perciò, i cittadini dovrebbero avere interesse a pagare il più possibile, salvo poi pretendere di avere servizi adeguati.
Eppure, nei confronti delle tasse, gli italiani si mostrano, a dir poco, perplessi, e non tanto perché non ne intuiscano l’importanza, quanto piuttosto perché notano che, spesso, gli evasori vengono premiati o, comunque, non sono adeguatamente puniti, e anche perché non si fidano dello Stato, che spenderebbe male il loro denaro. Se paghi, nessuno ti apprezza e i servizi che ricevi in cambio non sempre sono all’altezza delle tue aspettative; se non paghi, nessuno ti biasima ed hai gli stessi servizi. Allora, meglio essere “furbi” e lasciare che a pagare siano gli altri. Questa è la realistica, e certo amara, conclusione alla quale giungono gli italiani. Ne deriva una cultura pro-evasione, dove chi paga le tasse non pensa ai servizi che potrà avere in cambio, ma le paga o perché non riesce, materialmente, ad evaderle o eluderle, o per paura delle sanzioni previste dalla legge. La massima aspirazione per un italiano è di essere “più furbo” o “meno fesso” degli altri, di pagare il minimo per avere il massimo, di evadere il più possibile senza farsi scoprire.

06. Governo e Opposizione

I parlamentari si dividono in due schieramenti: uno di maggioranza, che va al governo ed esercita il potere esecutivo, l’altro di minoranza, che va all’opposizione e dovrebbe cooperare col primo nell’interesse generale. La realtà è diversa. Su qualunque questione, ciascuno schieramento indirizza al popolo messaggi ampiamente prevedibili e scontati: il governo afferma che sta operando per il bene del paese, l’opposizione dice invece che lo sta sfasciando. Quello che dicono e fanno gli avversari è sbagliato per principio. Una politica, che si muove sulla base di pregiudizi settari e sulla demonizzazione dell’”altro”, non può essere né costruttiva, né seria.
Anche il paese è diviso in due parti contrapposte e antagoniste, l’una contro l’altra armata, in una sorta di guerra civile, fondata sulla difesa di interessi di parte e sulla denigrazione pregiudiziale degli avversari. E’ così diffusa nel popolo la convinzione che la politica debba essere necessariamente faziosa, favorevole a qualcuno e contraria a qualcun altro, che non si riesce a concepire una politica super partes. Qualunque disegno di legge e qualunque proposta (da qualunque parte provengano), devono fare i conti con l’immancabile, pronta e secca reazione negativa da parte del Polo avverso. In un clima così avvelenato e di zuffa perenne, c’è ampio spazio per la demagogia e la disinformazione, e la politica scade di livello, riducendosi a pura lotta per il potere.
Il precedente governo Berlusconi ha fatto credere di non avere alcuna intenzione di mettere le mani nelle tasche degli italiani e anzi di volerle impinguare, anche attraverso la riduzione delle tasse, ma, poiché la ricchezza prodotta dal paese non è cresciuta, di fatto, i suddetti obiettivi sono stati raggiunti in modo illusionistico: sottraendo risorse alle amministrazioni locali (e, quindi, riducendo, indirettamente, i servizi ai cittadini) e aumentando il debito pubblico. A causa di questo illusionismo, ma anche di una politica ritenuta eccessivamente personalistica e populista, una buona metà degli elettori ha voltato le spalle al governo di centro-destra e ha premiato l’eterogeneo fronte d’opposizione, che, intanto, si era compattato intorno alla figura di Prodi in vista delle prossime elezioni.
La gente non s’aspettava miracoli da un centro-sinistra che aveva già governato in precedenza, senza entusiasmare, ma era sicura che il nuovo governo si sarebbe impegnato in una politica “seria”, se non altro per distinguersi dal modello “disinvolto e creativo” di Berlusconi. I propositi sembravano promettenti: si voleva far ripartire il paese, puntando su una politica di rigore, sull’incremento della competizione (liberalizzazioni) e sulla lotta all’evasione fiscale. I fatti però non sembrano all’altezza delle promesse.
La Finanziaria 2007, per esempio, si è rivelata un vero capolavoro di superficialità, imprevidenza e ingenuità politica; in una sola parola, un pasticcio. I 35 miliardi della manovra provengono, in larga misura, da un aumento di imposte, che sono state continuamente annunciate a carico di questo o quel comparto, poi smentite e, quindi, riproposte, in un’altalena tragicomica, che ha denotato un preoccupante stato di confusione e di divisione della compagine governativa. Le liberalizzazioni, poi, hanno sollevato le proteste delle categorie, che si sentivano ingiustamente discriminate, in particolar modo quella dei tassisti, che sono scesi in piazza, inducendo il ministro Bersani a fare concessioni, seguiti dai benzinai, che sono in agitazione mentre scrivo. Pur essendo animato da intenzioni lodevoli, minacciando di colpire questa o quella categoria, il governo Prodi ha finito per suscitare uno scontento generale, mentre, l’evasione rimane. Oggi il paese è sconcertato e perplesso nei confronti di una Finanziaria, il cui scopo sembra essere principalmente quello di far cassa, mentre permane il solito desolante quadro, dove molti cittadini continueranno a non pagare le tasse e molti altri continueranno a strapagarle.
Grazie agli errori di Prodi, l’Opposizione ha avuto facile gioco nel mobilitare due milioni di cittadini, che sono scesi in piazza protestando contro un governo, che, intanto, stava subendo un sensibile calo di consensi. I sondaggi dicono che gli italiani oggi non ridarebbero la maggioranza a Prodi. Pochi mesi fa avevano detto No a Berlusconi, oggi dicono No a Prodi. Ma che alternativa si offre loro se non un ritorno di Berlusconi? Essi possono solo scegliere fra i due schieramenti opposti, fra l’incudine e il martello. Una terza via non è prevista.
Mentre Governo e Opposizione continuano ad attaccarsi con alterne vicende, i veri vincitori rimangono i politici, i quali, indipendentemente dallo schieramento d’appartenenza, mantengono salda la propria poltrona e i propri privilegi, che poi si traducono in profitto e denaro, e, quindi, in un aumento della spesa pubblica e dell’imposizione tributaria. Ormai una cosa sembra chiara: indipendentemente da chi sta al governo, i politici hanno interesse a tenere alte la spesa pubblica e le aliquote tributarie, da cui traggono benefici economici. Il fatto poi che venga lasciato ampio spazio all’evasione fiscale induce a sospettare che, anche in questo campo, i politici debbano, in qualche modo, trarre vantaggio.

05. Il costo della politica

I privilegi di cui gode il politico attirano molti nell’agone elettorale, disposti ad investire tempo e denaro nella certezza che, una volta eletti, non solo si rifaranno ampiamente delle perdite, ma potranno anche estendere i benefici a parenti, amici e sostenitori, creando un gruppo d’interesse a forma piramidale, al cui vertice c’è proprio l’eletto.
Ogni gruppo non può non tenere conto degli analoghi e contrastanti interessi degli altri gruppi, e non può non scendere a compromessi con quelli. Alla fine, si vengono a delineare alcune principali correnti, anch’esse di forma piramidale, in cui un certo numero di politici di terzo livello, si riuniscono sotto altri politici di maggior peso, i quali, a loro volta, fanno capo ad uno, o pochissimi, leader carismatici, che guidano la corrente stessa. L’intero parlamento può essere concepito come la somma di queste correnti, ciascuna delle quali cura i propri interessi, anche attraverso una produzione legislativa personalizzata e la creazione di nuove “poltrone” e di posti di lavoro “politici”, così detti perché non servono al paese, ma, appunto, ai politici. La conseguenza è che i costi della Pubblica Amministrazione (P.A.) aumentano.
In sintesi, a fronte di un PIL di 1.417 miliardi di euro, la P.A. spende 630 miliardi e ne incassa altrettanti, per lo più sotto forma di imposte, le quali ammontano a 392.719 milioni di euro e costituiscono poco meno del 28% del PIL.
Un importante capitolo di spesa, è quello relativo agli interessi passivi (64,5 milioni di euro) che lo Stato deve pagare a fronte di un debito pubblico, che oggi è stimato in 1.600 miliardi, una cifra da brivido, superiore allo stesso PIL. Il 15% delle tasse degli italiani serve per saldare questi interessi.
Un’altra parte rilevante della spesa è quella che concerne le Amministrazioni Centrali (cfr. tab. 2). Con i suoi 81.162 milioni di euro, essa corrisponde a circa il 20% del carico fiscale. Tale è il costo della politica.
Solo il Ministero dell’Economia e delle Finanze richiede una spesa di 4.359 milioni di euro (cfr. tab. 3).
Ci sono ragioni per credere che il costo della politica sia eccessivo rispetto alle reali necessità del paese, il quale, forse, potrebbe essere governato altrettanto bene con metà dei parlamentari, o con una sola Camera, e con procedure burocratiche più snelle. Alla fine, si potrebbe conseguire una riduzione di spesa di oltre il 50%, vale a dire di oltre 40 miliardi di euro.
Ma quale parlamentare oserebbe mettere all’ordine del giorno una simile proposta di legge? E, ammesso pure che ciò accadesse, quanti sarebbero disposti a votarla? Del resto, questo comportamento è pienamente comprensibile: non possiamo aspettarci che un politico vada contro i suoi interessi, perché noi stessi, al suo posto, probabilmente, faremmo altrettanto. La conclusione è che il politico inclina a tenere il più alto possibile il livello delle sue retribuzioni e dei suoi benefit, che poi si traducono in aumento del costo della politica e delle tasse.

04. Il trattamento economico dei parlamentari

(tratto da www.parlamento.it)
Il trattamento economico del parlamentare si compone delle seguenti voci:

Indennità (o Stipendio) parlamentare
L'indennità, prevista dalla Costituzione all'art. 69, è determinata in base alla legge n. 1261 del 31 ottobre 1965. È fissata in misura non superiore al trattamento complessivo massimo annuo lordo dei magistrati con funzioni di presidente di Sezione della Corte di Cassazione ed equiparate. L'indennità è corrisposta per 12 mensilità. L'importo mensile - che, a seguito della delibera dell'Ufficio di Presidenza del 17 gennaio 2006, è stato ridotto del 10% - è pari a 5.419,46 euro, al netto delle ritenute previdenziali (€ 749,79) e assistenziali (€ 503,59) della quota contributiva per l'assegno vitalizio (€ 962,42) e della ritenuta fiscale (€ 3.555,63).

Diaria
Viene riconosciuta, a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma, sulla base della stessa legge n.1261 del 1965. La diaria ammonta a 4.003,11 euro mensili. Tale somma viene ridotta di 206,58 euro per ogni giorno di assenza del deputato da quelle sedute dell'Assemblea in cui si svolgono votazioni, che avvengono con il procedimento elettronico. È considerato presente il deputato che partecipa almeno al 30 per cento delle votazioni effettuate nell'arco della giornata.

Rimborso per spese inerenti al rapporto tra eletto ed elettori
A titolo di rimborso forfetario per le spese inerenti al rapporto tra eletto ed elettori, al deputato è attribuita una somma mensile di 4.190 euro, che viene erogata tramite il gruppo parlamentare di appartenenza. Ai deputati non è riconosciuto alcun rimborso per le spese postali a decorrere dal 1990.

Spese di trasporto e spese di viaggio
I deputati usufruiscono di tessere per la libera circolazione autostradale, ferroviaria, marittima ed aerea per i trasferimenti sul territorio nazionale. Per i trasferimenti dal luogo di residenza all'aeroporto più vicino e tra l'aeroporto di Roma-Fiumicino e Montecitorio, è previsto un rimborso spese trimestrale pari a 3.323,70 euro, per il deputato che deve percorrere fino a 100 km per raggiungere l'aeroporto più vicino al luogo di residenza, ed a 3.995,10 euro se la distanza da percorrere è superiore a 100 km. I deputati, qualora si rechino all'estero per ragioni di studio o connesse all'attività parlamentare, possono richiedere un rimborso per le spese sostenute entro un limite massimo annuo di 3.100,00 euro.

Spese telefoniche
I deputati dispongono di una somma annua di 3.098,74 euro per le spese telefoniche. La Camera non fornisce ai deputati telefoni cellulari.

Assistenza sanitaria
Il deputato versa mensilmente, in un apposito fondo, una quota del 4,5 per cento della propria indennità lorda, pari a 503,59 euro, destinata al sistema di assistenza sanitaria integrativa che eroga rimborsi secondo quanto previsto da un tariffario.

Assegno di fine mandato
Il deputato versa mensilmente, in un apposito fondo, una quota del 6,7 per cento della propria indennità lorda, pari a 749,79 euro. Al termine del mandato parlamentare, il deputato riceve l'assegno di fine mandato, che è pari all’80 per cento dell'importo mensile lordo dell’indennità, per ogni anno di mandato effettivo (o frazione non inferiore ai sei mesi).

Assegno vitalizio
Anche in questo caso, il deputato versa mensilmente una quota - l'8,6 per cento, pari a 962,42 euro - della propria indennità lorda, che viene accantonata per il pagamento degli assegni vitalizi, come previsto da un apposito Regolamento approvato dall'Ufficio di Presidenza il 30 luglio 1997. In base alle norme contenute in tale Regolamento, il deputato riceve il vitalizio a partire dal 65° anno di età. Il limite di età diminuisce fino al 60° anno di età in relazione agli anni di mandato parlamentare svolti. Lo stesso Regolamento prevede la sospensione del pagamento del vitalizio qualora il deputato sia rieletto al Parlamento nazionale ovvero sia eletto al Parlamento europeo o ad un Consiglio regionale. L'importo dell'assegno varia da un minimo del 25 per cento a un massimo dell'80 per cento dell'indennità parlamentare, a seconda degli anni di mandato parlamentare.
Nota: per i senatori valgono, sostanzialmente, le stesse condizioni.

Ci chiediamo: chi stabilisce il trattamento economico dei parlamentari? Risposta: i parlamentari stessi. E poiché si tratta di condizioni di assoluto privilegio, si deve convenire che il politico non può essere un fesso. Il politico può essere un virtuoso o un debosciato, un competente o un ignorante, un credente o un ateo, un filantropo o un misantropo, un generoso o un avaro, un mite o un aggressivo, un valente statista o una mezza calzetta, un moderato o un estremista, e si potrebbe continuare all’infinito. Tutto egli può essere, ma non un fesso.
Onde evitare spiacevoli fraintendimenti a proposito di quanto detto sopra, va precisato che affermare che il politico sa il fatto suo non significa metterlo in stato d’accusa o, almeno, non è questa la mia volontà. Io credo che egli faccia, in fondo, quello che farebbe ciascuno di noi se si trovasse al suo posto e se fosse dotato delle stesse qualità.

03. Il Parlamentare non è un “fesso”

Il parlamentare svolge tre funzioni primarie: a) conquistare voti, b) partecipare alle sedute delle Camere e c) tenere alto il livello del consenso degli elettori, ai fini di un’eventuale rielezione. Per poter svolgere le sue funzioni con successo, egli deve possedere delle qualità: deve parlare e curare la propria immagine in modo tale da cattivarsi la simpatia e la fiducia degli elettori; deve sapersi destreggiare sia coi propri colleghi di partito, sia con gli avversari, sia con le diverse realtà economico-produttive e religioso-culturali del paese, che lo circuiscono, cercando di tirarlo ciascuna dalla propria parte; deve imparare a distinguere le cose importanti da quelle futili, evitare gli eccessi più pericolosi, ostentare equilibrio e sicurezza, cogliere i cangianti rapporti di forza fra i gruppi di potere e prevedere il corso degli eventi. Non voglio dire, con ciò, che tutti i parlamentari sono dotati di queste qualità in grado sommo, ma, più semplicemente, che è difficile per un politico essere eletto e rimanere sulla cresta dell’onda senza possedere queste qualità ad un certo grado. E’ praticamente impossibile, pertanto, che il politico non sia una persona intelligente e accorta.
Ora, quando una persona intelligente e accorta decide di entrare in politica, si presume che ella sappia che cosa sia il bene e il male del paese (in genere, è sufficiente leggere le linee programmatiche del suo partito) e, se sa valutare l’interesse della nazione, a maggior ragione deve saper valutare il proprio, ed è poco credibile che ella promuova solo il primo trascurando il secondo. In effetti, l’esperienza empirica quotidiana (Tangentopoli e i grandi scandali, che di tanto in tanto si affacciano alla ribalta, sono solo la punta dell’iceberg), ci fornisce l’immagine di un politico molto attento al proprio tornaconto. D’altronde basta guardare alle condizioni economiche che i parlamentari riservano a se stessi, per renderci conto che essi somigliano più a degli affaristi che a dei servitori della comunità.

02. Il rapporto parlamentare/cittadino

Lo stato di salute di una democrazia si riconosce dal tipo di rapporto che lega i cittadini ai parlamentari e questi ultimi ai primi: quanto più stretto e libero è questo rapporto, tanto più vitale è la democrazia e, viceversa. Se un politico risponde in modo frettoloso ed evasivo o, peggio ancora, non risponde affatto ad un elettore che gli pone una precisa questione tecnica, sollevata al semplice scopo di migliorare le condizioni del paese, beh, questo getta ombre sinistre sullo stato di salute della nostra democrazia. Senza un rapporto, attivo e responsabile, fra eletto ed elettore, la democrazia muore. In Italia c’è questo pericolo.
Nel nostro paese, l’uomo politico non è soggetto a vincoli contrattuali, né è tenuto a rendere conto del proprio operato al alcuno e nemmeno a rispondere ad un cittadino, che a lui si rivolga con proposte politiche costruttive. In teoria, egli potrebbe anche dormire sui banchi del Parlamento e svegliarsi solo al momento del voto per conservare tutte le sue spettanze di legge. In pratica, il parlamentare si comporta come se fosse un dio. Egli deve governare il paese e, mentre è occupato in questa nobile missione, non deve essere importunato da alcuno. Muovendosi nella sua campana di vetro e nel suo mondo surreale e ovattato, egli ha una sola certezza: comunque vada, per lui sarà un successo, perché, al compimento della legislatura, gli resteranno i benefici previsti dalla legge, come l’assegno di fine mandato e l’assegno vitalizio (cfr. Scheda, al cap. 3), che aumentano in proporzione alla durata del suo mandato, non in relazione al bene che egli ha fatto al paese. In fondo, il politico è come un figlio: quando ce l’hai devi essere disposto a mantenerlo a vita.
E il cittadino? Di norma, la sua partecipazione attiva alla politica non è prevista, né è desiderata, e nessuno si accorge di lui. Solo di tanto in tanto egli diventa importante: quando i politici hanno bisogno del suo voto. Durante la campagna elettorale egli è circondato di attenzione e si sente importante, ma solo fino a quando, nel chiuso di una cabina, non abbia segnato una crocetta (il simbolo dell’analfabeta) su una scheda che altri hanno predisposto per lui. Compiuto questo gesto, che costituisce la massima espressione della sua partecipazione politica, ritorna nell’ombra, da cui era uscito per il suo attimo di gloria, e vi rimane fino alle successive consultazioni elettorali, quando riappare sulla scena come un Lazzaro che esce dalla tomba, riceve il solito corteggiamento dei politici e appone la solita crocetta sulla solita scheda, per poi eclissarsi di nuovo. Il cittadino è come una bolla di sapone: brilla per un attimo, poi scompare.

01. Introduzione

Amareggiato dal triste spettacolo offerto da una politica funambolica e beffarda, che promette e non mantiene, minaccia e ritratta, dice e non dice, e deluso da una Finanziaria bislacca, che ha finito per scontentare tutti senza risolvere alcuno dei nodi strutturali economici del paese, mi sono deciso ad inviare ad una cinquantina di parlamentari una breve lettera, nella quale sottopongo al loro giudizio una mia vecchia idea, che, se applicata, secondo me, potrebbe risolvere molti problemi della nostra povera Italia.
Le risposte che ho ricevuto, anzi, che non ho ricevuto, mi hanno indotto a scrivere questo breve memoriale, il cui scopo è quello di portare alla pubblica conoscenza il comportamento neghittoso e indolente dei nostri rappresentanti.
Udine, 7 febbraio 2007