Oggi, il fenomeno dell’evasione fiscale è così pervasivo ed evidente che nessuno oserebbe negarlo. Se qualche dubbio c’è, esso riguarda solo l’ammontare della cifra evasa, che, comunque, è da capogiro: si parla di 200.000 milioni di euro! Come avviene per tutti i fenomeni generali, l’evasione non riguarda solo “gli altri” ma, potenzialmente, ciascuno di noi; fa parte della nostra cultura, del nostro costume.
Chi evade le imposte non è tormentato da sensi di colpa, anzi va a testa alta, un po’ come avviene per un soldato quando uccide in battaglia. Per l’italiano, infatti, lo Stato è esoso e vessatore, è un vampiro che succhia il sangue dei cittadini, un nemico da cui guardarsi, e l’evasore impunito è uno che sfida con successo il nemico-Stato e merita lo stesso rispetto che riserviamo agli eroi. Così come plaudiamo al soldato, le cui mani lorde di sangue hanno contribuito a riscattare l’onore della patria, allo stesso modo ammiriamo l’evasore franco, che, col suo coraggio, riscatta le nostre debolezze.
Nei confronti degli evasori, ciclicamente, i politici annunciano una sorta di guerra santa, che ha l’effetto immediato di indurre molti cittadini a mettersi in regola col fisco, ma solo finché dura la paura, poi tutto ritorna come prima. Ormai, il fenomeno dell’evasione è così incancrenito da indurre la gente a credere che sia un male inevitabile o, ancora peggio, un fatto “fisiologico”.
Io non la penso così. Penso che l’evasione si possa sconfiggere, a condizione che ci sia la sincera volontà di farlo. Non si sconfigge perché i politici non vogliono. Questa tesi trova conferma nell’esperienza, che qui racconto.
Perché combattere l’evasione fiscale?
15 anni fa
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